Durante questa
era pre-inflazionaria, iniziata 1 decimiliardesimo di miliardesimo di yoctosecondo (pari a 10 -43 secondi,
ossia 0,0000000000000000000000000000000000000000001 secondi) dopo il Big Bang,
le forze fondamentali, eccetto la gravità, erano unite in una sola
"superforza" costituita dalla forza
elettromagnetica e dalle forze nucleari debole e forte.
(da Wikipedia,
“Cronologia del Big Bang”)
Ricordo che la serata era cominciata in un
bar del centro in zona Duomo, come ogni mercoledì. Anche quella sera, puntuale,
era arrivato il messaggio di Dimitri: “Ciao vecchio, senti, stasera? – pausa –
Fffesta???”. Scritto proprio con tre effe.
Un’ora dopo eravamo al bancone del bar.
Dimitri aveva ordinato un Long Island e, forte delle conoscenze acquisite al
corso per barman, si era messo a discutere con il barista:
“Giovane – esordì con un sorriso storto (era
al suo terzo cocktail) e una confidenza che sarebbe parsa fuori luogo a
chiunque tranne che a Dimitri ebbro – hai scazzato le dosi di Tequila…”. Dopo
la sua diagnosi rimase a guardare il barista, con l’occhio semichiuso di quello
che la sa lunga.
L’altro lo guardò serissimo e chiese: “Come
dici?”
“La Tequila – pausa – ce n’è un po’ troppa –
precisò Dimitri con il tono paterno di chi ha deciso di perdonarlo, quel
barista maldestro – nel Long Island si dovrebbe sentire appena…”.
“Non ce l’ho messa la Tequila – disse il
barista - non c’è la Tequila nel Long Island” precisò senza smettere di pestare
la menta in un bicchiere.
“Ah… beh… già”. Dimitri fissò il barista,
tirò un sorso dalla cannuccia sempre fissandolo, poi disse: “Sì, bravo, giusto,
non c’è la Tequila” e scoppiò in una risata acuta, tutta articolata in Hi-hi-hi
e Uah-hi, uah-hi-hi-hi. Una cosa imbarazzante, almeno per me che ero ancora
sobrio.
Poi ricordo il viaggio in auto, io guidavo,
Dimitri cantava Cuccuruccucù Paloma con la testa fuori dal finestrino. Ricordo
i semafori lampeggianti e le luci della centrale elettrica. Guidavamo senza
meta, era il nostro modo di contribuire allo scioglimento dei ghiacciai. Poi
seguendo un rettilineo delimitato da platani decapitati eravamo giunti al mare.
Ricordo l’alba su quella spiaggia deturpata.
Poi Comacchio. Il sapore del caffè ancora
nella bocca, affacciato dai Trepponti, mi sentii pervaso, senza alcun motivo da
un senso di benessere. Credo fosse il sole delle nove di mattina. Scaldava la
pelle e la faccia mentre guardavo ciò che si vede in controluce a palpebre
chiuse: una superficie viola-rossa punteggiata dalle ombre dell’ultima immagine
impressa sulla retina. In quel preciso momento stavo bene. Mi sentivo in
armonia con l’universo. Non pensavo all’assurda serata trascorsa, non pensavo
ai giorni che sarebbero venuti. Era come se improvvisamente mi fossi preso il
diritto di vivere il presente. Pensai “Io sto bene”. Credetti di pensarlo, in
realtà mi era uscito a mezza voce. E Dimitri mi aveva sentito: “Che cazzo sei,
un’anguilla?” aveva chiosato. Era segno che si era ripreso. “Torniamo in città,
ho bisogno di dormire un po’” disse.
Mentre tornavamo alla macchina ci imbattemmo
in una gita scolastica. Poteva essere una quinta superiore.
E successe che la vidi: immaginate una
ragazza di diciotto anni, candida. Immaginate che incontri lo sguardo
insistente di un ragazzo più grande, sveglio da più di trenta ore, con al
seguito un amico pieno di LongIsland che urla ai piccioni per farli spostare.
Immaginatela che, intimidita, abbassa gli occhi e ride con le amiche. Ecco, no:
nulla di tutto ciò. Non siamo su Ponte Milvio. Niente lucchetti, né amori
mocciosi. La ragazza in questione si trovava in piedi su una panchina e
incitava i compagni a spingere in acqua la professoressa. Aveva l’aria di una
capo-popolo. Gridava, gesticolava, saltellava. Ricordo solo capelli lunghi,
grandi occhi scuri, una gonna corta e dei collant colorati, forse blu. O verdi.
Rimasi a fissarla. Immobile come una lepre
abbagliata dai fari dell’auto. Quando finalmente incrociai lo sguardo di quella
ragazza ebbi la sensazione che fosse successo qualcosa di straordinario. Provai
un senso di vertigine, un solletico allo stomaco. Come quando guardi sott’acqua
in mare aperto senza vedere il fondo. Lei mi guardò con aria incuriosita poi
distolse lo sguardo, saltò giù dalla panchina, mi passò accanto e andò oltre,
seguita dai compagni. Distinsi nell’aria la sua scia di profumo: menta,
pompelmo e cannella. Quella fragranza penetrò le mie narici fino al cervello e
provocò una piccola scossa tellurica nella mia testa.
Per la verità, alla scossa tellurica aveva
contribuito Dimitri, assestandomi il più classico dei coppini: “Dammi le
chiavi, mi va di guidare” aveva sentenziato. Nessuna persona ragionevole gliele
avrebbe date. Ma in quel momento non mi andava di ragionare, gli allungai le
chiavi e mi accomodai al lato passeggero.
Il sole era alto, Dimitri guidava verso la
città. Io fissavo fuori dal finestrino. Tralicci, viadotti, campi, cascine,
villette, trattori, insegne pubblicitarie. Tutto scorreva nella dimensione
obliqua e leggermente sfocata del fast
forward dei vecchi video registratori.
“E’ la teoria del Big Bang” disse a un tratto
Dimitri.
Ruotai il collo e lo guardai dal basso verso
l’alto, lasciando la testa appoggiata al finestrino.
“E’ come il Big Bang – proseguì lui – il
novanta per cento accade nei primi istanti, gran parte di quello che doveva
succedere è già successo. Poi tutto prosegue a velocità ridotta. Quando caschi
negli occhi di una ragazza in quel modo là, il grosso è fatto. Tutto il resto
segue il ritmo dell’universo in espansione”.
Non so se fosse per via del Long Island, che
aveva ormai sostituito completamente il sangue nelle vene di Dimitri, o se
davvero si era accorto di quel che era capitato poco prima, sta di fatto che da
quel giorno la sua teoria del Big Bang iniziò ad avverarsi con sorprendente esattezza.
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